Ecco il testo della chiacchierata che ho fatto con la carissima scrittrice e carissima amica Sonia Maritan di “StrutturaLegno” sull’attacco a terra delle case in legno:
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- Dalle prime costruzioni a oggi come è cambiato l’attacco a terra delle costruzioni in legno, considerato fra gli esperti uno dei punti deboli per l’involucro?
R – Anni fa alle mie prime esperienze con le costruzioni residenziali in legno sentivo utilizzare il termine “cordolo sacrificale” parola bruttissima mutuata dalle costruzioni navali in metallo che ispirava poca fiducia.
L’idea che tutto appoggiasse su qualcosa che fosse destinato a marcire in caso che qualcosa andasse storto non dava sicurezza agli allora ancora rari committenti interessati a realizzare la casa dei loro sogni in legno.
Fortunatamente il modo ragionare dei costruttori si evoluto e oggi quell’approccio è stato superato, ora il mercato offre una moltitudine di sistemi, non tutti mi convincono ma sicuramente si sono fatti passi avanti.
- Quali sono gli accorgimenti progettuali da adottare per assicurare la protezione passiva (che costituisce l’aspetto essenziale in una costruzione)? Il marciapiede drenante rappresenta una soluzione risolutiva e di cui si sente troppo poco parlare!
R – Quello che chiamo “marciapiede drenante” è il metodo che adotto più spesso nei miei progetti, la prima volta che l’ho realizzato è stato in una ristrutturazione di una vecchia casa con i muri portanti in mattoni pieni, dovevo portare il cappotto ad un livello più basso rispetto al pavimento del piano terra per correggere il ponte termico ed allo stesso tempo far asciugare le fondazioni in laterizio affondate nel terreno.
La soluzione è stata così efficace che ho pensato potesse andare bene anche nelle strutture in legno e in effetti mi ha dato delle soddisfazioni. Il suo pregio principale è la semplicità di realizzazione, posso affidarlo anche con a manodopera abituata alle costruzioni tradizionali dove il limite di tolleranza è il centimetro e non il millimetro come nel legno.
Molti miei colleghi preferiscono far realizzare un cordolo in cemento armato emergente dalla platea di fondazione per portare il legno più in alto rispetto al livello del terreno circostante, questa soluzione è di certo più cautelativa ma più costosa e, cosa più importante, non si riesce mai a costruire un cordolo in cemento dello stesso spessore del pannello in legno, il disassamento verticale che ne consegue ha importanti influenze negative sul lavoro delle connessioni metalliche.
Nei cantieri vedo molto spesso gli operatori piegare gli Hold Down per fissarli alla struttura lignea questo non gli consente di scaricare le tensioni a terra in maniera corretta e sulle costruzioni di grandi dimensioni è un dettaglio che non può essere trascurato.
- Come si è evoluta la tecnologia dell’attacco a terra nelle costruzioni in legno dal punto di vista statico, termo-igrometrico, di durabilità, della normativa?
R – Nella mancanza di una norma che dia delle prescrizioni generali ci si sbizzarisce ad inventare un po’ di tutto, mi preoccupano quei profili metallici che sostituiscono il vecchio cordolo sacrificale nella sicurezza che non temano l’umidità ci si dimentica che avere una camera ventilata proprio in una zona così delicata possa creare un accumulo di condensa andando a peggiorare la situazione anziché risolverla.
- Quali futuri orizzonti immagini per un’ulteriore evoluzione del prodotto (penso a una sua ispezionabilità ad esempio per la manutenzione)?
R – Da qualche anno vedo che alcuni enti finanziano progetti sperimentali dove vengono installati sensori e sistemi di monitoraggio in remoto ma non ho poi visto pubblicare i risultati. Mi piacerebbe stabilire un protocollo di verifica con altri colleghi e applicarlo sui diversi metodi per confrontarli in modo omogeneo.
Sicuramente nelle costruzioni sempre più elevate in altezza che si stanno realizzando un po’ in tutto il mondo e indispensabile progettare un piano di manutenzione che preveda il monitoraggio frequente dei nodi più cruciali e un metodo di intervento.
Allo stesso tempo trovo che la filosofia della costruzione in legno non debba essere una sfida alla gravità, non siamo più nell’ottocento dove Antonelli faceva a gara con Eiffel. Il legno per un progettista edile significa recupero di tradizioni, culture, stili di vita ma soprattutto rispetto per la natura e prendere coscienza che siamo parte e non controparte dell’ecosistema.
- Perché le costruzioni in legno non mutuano dall’esempio della casa Walser: una baita concepita con un basamento in pietra?
R – Io adoro le case Walser, ho progettato casa mia rinnovandone il concetto!
Proprio questo deve essere l’approccio, noi abbiamo metodi di calcolo molto raffinati, materiali innovativi e mezzi potenti dobbiamo utilizzarli per migliorare quello che hanno realizzato gli uomini, anzi i popoli che hanno sperimentato per secoli raggiungendo l’eccellenza nelle loro tecniche costruttive e ci hanno lasciato splendide costruzioni ancora in piedi a dimostrarcelo.
I walser hanno risolto in maniera efficace il problema delle infiltrazioni dal terreno salvaguardando la struttura lignea con i materiali a loro disposizione, la pietra per il piano terra e il legno per quelli superiori con un decrescendo del peso proprio geniale.
In tutto il mondo il legno da sempre è il materiale principe per qualunque impresa che l’uomo abbia dovuto affrontare (ho sempre avuto la curiosità di sapere se anche nelle navicelle spaziali sia stato usato qualche componente in legno e la cosa non mi stupirebbe affatto se fosse successo).
Dobbiamo studiare le tecniche tradizionali e avere l’umiltà di partire da quelle, il legno ci insegna il rispetto per la natura e per chi ne è sopravvissuto attraverso i secoli usando l’ingegno.
Ancora una cosa voglio aggiungere, gli edifici realizzati a cavallo fra l’800 e il ‘900 erano stati protetti dall’umidità in modo eccellente alzando il primo solaio da terra di circa un metro, penso ai villini liberty che generalmente hanno un piano interrato ben ventilato (non destinato ad essere trasformato in “tavernetta”) ma anche agli edifici pubblici realizzati in quell’epoca (scuole, municipi, etc.). Perché non possiamo mutuare questo sistema?
I motivi sono due:
- I piani regolatori comunali molto spesso utilizzano indici di edificabilità volumetrici assegnando ai terreni un volume massimo realizzabile anziché una superficie lorda, questo porta ad uno “schiacciamento” dei progetti e da questo derivano gli edifici con mansarde termicamente invivibili e gli ambienti abitativi con altezze ridotte al minimo di legge. Occorrono linee guida per la redazione degli strumenti urbanistici più moderne di quelle degli anni ‘70.
- Gli inevitabili gradini per accedere all’interno costituiscono una barriera architettonica e questa non è accettabile oggi, qui sì che dobbiamo essere moderni, costruire ecosostenibile e confortevole significa anche e soprattutto rispettare l’uomo dalla sua infanzia fino alla vecchiaia serena che merita. Un solo gradino deve essere una taboo per il progettista di questo secolo, edifici più sani, più belli e accessibili a tutti questo deve essere l’obiettivo del nuovo architetto.
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